Chissà per quali ricatti la mamma armava le sue labbra. Quali morsi imporporava.
Chissà cosa infilava nei regali, quando li impacchettava con nastri colorati.
Era felice? Chissà di cosa godeva mia madre. Cosa la faceva appassire?
Cosa vedeva quando guardava me? Chissà cosa iniettava con lo sguardo quando muoveva i miei cocci.

Sara Garagnani ci fa entrare nella sua famiglia scoperchiando le dinamiche malate che per decenni l’hanno governata.
La linea dei soprusi subiti e poi inflitti da nonna, madre e da se stessa ha radici profonde nell’instabilità emotiva che si respira in casa, è come un’eredità malata della quale non ci si può liberare perché l’imprinting incatena a quelle modalità che non si sa come cambiare.
Il mutismo nella comunicazione si tramanda nelle linea femminile mentre la sordità e la cecità alla vita familiare in quella maschile, come se fossero due malattie genetiche dalle quali non si può fuggire.

Spezzare questa catena è difficilissimo, perché è difficile imparare se nessuno ti insegna, è difficile capire che il modo in cui stai esprimendo i tuoi sentimenti è sbagliato: ci si affida alle persona più vicine a noi e quindi copiamo i loro comportamenti dando per scontato che siano giusti. Spesso quando ci si accorge che quel sistema è corrotto, è troppo tardi. Per uscirne c’è una sola strada: tirare fuori tutto, tutto il magone che per anni ha covato dentro va fatto uscire, in modo da ritrovare un equilibrio.
E così fa Sara che in questo lavoro durissimo di messa in discussione delle proprie radici riesce a mettere ordine in tutti quei sentimenti ingarbugliati e in quelle relazioni instabili.
Una graphic novel densissima, una ricostruzione genealogica difficile, per la quale Sara ha dovuto districarsi tra segreti e silenzi, tra prese di posizione e cecità autoindotte, in un labirinto di sentimenti confusi, dove l’amore e l’odio si mescolano all’incomprensione e al silenzio.